I pettegolezzi di Carlo Goldoni


a cura di Giorgio Agosta del Forte

 

Nel 1707, in una sala del Palazzo Centanni, il vagito di un bambino appena nato, si confonde con le urla di mercanti e naviganti giunti a Venezia in cerca di fortuna.

– Non sarà un po’ sèco – dice la nutrice.

– Sarà anche un po’ sèco, ma el ga due pomèli bèli grossi e ànca un pochetto de pànza – dice il padre, medico di professione.

In quel labirinto acquatico, Carlo Goldoni è cullato dal fervore culturale e politico passato alla storia col nome di “Illuminismo”. I primi studi li effettua presso i Gesuiti e, compiuti i 16 anni, suo padre lo manda in Erasmus a Pavia per conseguire la laurea in Legge. Tra lo studio di un codice penale e una norma giuridica, Carlo Goldoni viene distratto dalla sua passione viscerale per il teatro. Proprio questo ardore sopito lo porta a immergersi nella della letteratura teatrale, italiana e straniera, e a frequentare il mondo della scena come spettatore. In una delle sue scorribande teatrali incontra il capocomico Girolamo Medebac, un romano di origine tedesca.

– Ah oh Carletto! Bella de Onkel, ma c’hai mica vòja de venì nella mia compagnia a scrivere du’ cosette? Te pago con ducati und Bier! Eh daje!

– Oi varda, mi hai convinto!

È così, che Carlo Goldoni diventa “poeta di teatro” presso la sua compagnia, con un contratto stabile e compenso fisso. Il “pittore della Natura”, titolo a lui dedicato dall’inchiostro della penna volteriana, è un autentico uomo di teatro che si ciba degli umori del pubblico popolare e si disseta con i bisogni di un’esigente borghesia. I due sommi libri dai quali Carlo Goldoni trae la linfa ispiratrice per le sue commedie sono il Mondo e il Teatro: cioè la realtà vissuta e la scena viva. Filo rosso che combina in una disequazione matematica questi due universi, è la lingua.

A tal proposito nella prefazione alla pièce teatrale intitolata: I Pettegolezzi delle donne, scrive: “A chi intende la lingua nostra, farà un effetto, a chi non la capisce, ne farà un altro”.

Una lingua che ora si fa babelica, ora assume le vesti stracciate del pettegolezzo che crea nella società caos e disordine, avvelenando i rapporti umani. Parafrasando le parole di Marco Paolini: la lingua è come la forza di gravità, lenta in alto e veloce in basso. Venezia si affaccia sul mare, e tra la noia e la monotonia che aleggia tra i personaggi goldoniani, il pettegolezzo passa di bocca in bocca come un filo d’Arianna che dovrà essere raggomitolato per giungere alla fonte della verità.

Questo filo scorrerà tra le mani di Checchina, innamorata e promessa sposa di Beppo, che prima di riuscire a districare ogni menzogna e calunnia verrà morsa dalle lingue gelose delle altre donne. La lingua e il pettegolezzo sono un binomio imprescindibile che si fa rito collettivo e fenomeno antropologico, cozzando con l’anima goldoniana costruita sulla fiducia e sulla schiettezza dei rapporti umani.

Un grido, questo, di Carlo Goldoni a unirci in catene solidali dove ogni anello incarna ora la lealtà, ora l’onestà, ora la solidarietà.

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