Intervista al regista: Giacomo Cattaneo



a cura di Anna Castoldi

Come ci si sente a presentare il primo spettacolo degli Indirigibili per la nuova stagione?

È una bella responsabilità. I tempi sono stati stretti, soprattutto considerando che, chiudendo con Fiori d’Acciaio la scorsa stagione, ho avuto solo pochi mesi per preparare il nuovo lavoro. Gli Atti unici, del resto, si prestano alla rapidità per loro stessa natura: essendo vari atti brevi con tante persone diverse, abbiamo potuto organizzare le prove in modo funzionale. La scelta di questo testo è dipesa anche dalla voglia di buttarsi al più presto sul palcoscenico e riabbracciare il pubblico

– spero saremo in grado di portare in scena uno spettacolo che lo soddisfi e che qualcosa rimanga anche a chi l’ha fatto.

Fai parte di Teatroindirigibile fin dai primordi, soprattutto in veste di tecnico; come ti trovi nei panni del regista?

Per me il lavoro di regia equivale a concretizzare immagini che ho in mente; già quando leggo le parole diventano figure, vedo lo spettacolo in fotogrammi. Forse per deformazione professionale di progettista, forse per la mia passione per la fotografia: l’immagine è il mio linguaggio. Mi interessano particolarmente i movimenti in scena, le luci, le scenografie, mentre per la parte recitativa lascio molta libertà agli attori. Loro portano in scena il loro. Poi, al momento della rappresentazione, l’immagine si armonizza con gli altri elementi e qualcosa – emozione, suggestione o spunto – raggiunge il pubblico. Questo è l’importante.

Come ci si sente dopo due ore di prove?

Si inizia stanchi e si finisce con la voglia di non smettere mai: il teatro è una fatica che ricarica.

E durante le prove, l’atmosfera com’è?

Ogni volta si scopre qualcosa di nuovo. Negli Atti Unici ci sono molti attori giovani e molte nuove leve: questo mette alla prova, come regista e come essere umano. Da chi è più maturo ci si aspetta molta responsabilità, quasi una garanzia; con i ragazzi il rapporto è un po’ diverso. Da chi deve crescere di più ci si aspetta di più: quella è la vera scoperta.

Teatroindirigibile ha portato in scena le cose più diverse: dai grandi drammi come Amleto e il Cyrano, alle farse britanniche come Il colpo della strega, a classici comici e seri come L’Arlecchino e Nathan il saggio. In questa scala di atmosfere, qual è il posto degli Atti Unici?

Direi che il loro posto non c’è ancora; o meglio, è molto difficile collocarli. Nella storia di Teatroindirigibile qualcosa del genere non c’è ancora mai stato e questo un po’ spaventa. La scommessa è aver tirato fuori da questo testo qualcosa che possa far ridere e far pensare: gli Atti Unici sono brevi e divertenti, ma ciò non significa affatto che siano facili.

Come li avete affrontati?

La parola d’ordine è ritmo: vogliamo creare dei quadri esplosivi. I personaggi non devono essere realistici, ma caricature, pur senza trascurarne le sfumature. Il testo è senz’altro divertente; eppure, di prova in prova, la nostra consapevolezza di esso è aumentata, tanto che siamo arrivati a chiederci come avremmo potuto approfondire se avessimo avuto un mese in più. Ma se lo avessimo, probabilmente alla fine ne vorremmo un altro: il teatro è una ricerca destinata a non finire mai.

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