L’errore è talento in divenire



a cura di Benedetta Scillone

 

“- Non oserai metterti quella sciarpa viola, vero?”

“- Ha detto Macbeth? Ma porta rogna!”

“ – Buona fortun…”

“ – Non dirlo! ”

E’ curioso sentire quanto la superstizione teatrale sia radicata più fra il pubblico che lo segue che fra la marmaglia attoriale. Da quando abbiamo scoperto che Strehler se ne andava con una pezza viola sempre in tasca, non abbiamo più remore nello sfoggiare tutti i capi del nostro armadio del medesimo colore in teatro. Se vi state domandando il perché di questo excursus sulle sfumature dell’indaco, ebbene oggi vorremmo affrontare la sfortuna in ambito teatrale. Se siete habitué del parterre o se frequentate amici con questa passione, vi sarà sicuramente capitato di udire storie al limite dell’inverosimile, di incidenti occorsi in scena o dietro le quinte perché é stato detto o fatto qualcosa che non si doveva dire o fare, come tirare uno sciacquone durante una pausa di silenzio o il gettarsi di un’attrice da un finto parapetto su di un tappeto elastico con conseguente rimbalzo multiplo. Negli anni a Teatroindirigibile si sono avvicendati aneddoti e misteri legati agli spettacoli più disparati: dalla sirena antincendio scattata per il fumo in scena, a svenimenti di attori legati con corde ad alta quota; da cibi e pietanze scomparse nel nulla con successivo incolpamento del topo di scena, a prime teatrali di grande richiamo inaspettatamente scadenti. Coincidenze? Sfortuna? Forse é stato offeso San Genesio, patrono degli attori, con qualche rito scaramantico diversamente volgare? Oppure qualche invidioso o vicino di casa disturbato dagli schiamazzi ha intrugliato un malocchio? Scevri di pregiudizi ancestrali e innamorati del viola come siamo, osiamo asserire che non tutte le sfortune vengono per nuocere. Anzi. La sfortuna porta un accidente, un imprevisto, un errore ed é proprio in questa crepa della perfezione che si insinua il talento come una cicatrice d’oro nei vasi giapponesi: la sfortuna permette ai teatranti di giocarsi il tutto per tutto e di vivere l’errore sulla propria pelle rendendolo un marchio indelebile di bravura e di inimitabile maestria. Talvolta inimitabile anche dalla stessa persona nelle repliche successive. Siamo fermamente convinti che non ci sia nulla di più favorevole alla maturazione dell’attore di un errore, una smagliatura nel copione, una battuta saltata, un vuoto di memoria che paralizza per un secondo il corpo e acuisce magicamente gli altri sensi. E’ in quel momento che scatta il genio, che poi potrà durare tutta la vita o cinque minuti, ma sarà innegabilmente visibile alla platea e ai compagni d’arme. E’ paradossalmente l’errore a lasciar spazio al talento. Senza nulla togliere al fatto che l’errore possa produrre ulteriori sbagli, o che la sfortuna non rimanga semplicemente portatrice di infausti accadimenti, tuttavia ci piace pensare che ci sia sempre un margine in cui potersi giocare, nel bene e nel male. Ah, il nostro sogno?

Un Macbeth in viola.