a cura di Benedetta Scillone
C’è un quadro nero di quinte foderate in panno e intervalli di luci gialle a incorniciare lo studio di Basil Hallward, dove il pittore è intento a dare gli ultimi ritocchi alla sua opera più bella: il ritratto di un giovane di nome Dorian Gray. Il silenzio della scena è interrotto dall’arrivo di Lord Henry Wotton (Andrea Turla) nobile inglese, che ha fatto degli aforismi e dei paradossi uno stile di vita. Egli punzecchia, infastidisce, corrompe fino a traviare non solo l’esistenza dell’amico pittore, ma anche l’oggetto delle sue attenzioni: Dorian Gray, tornato a casa dell’artista per posare un’ultima volta. Edoardo Mascheroni nei panni dell’inesperto e fanciullesco Dorian, interpreta con grinta un personaggio tanto amato dal pubblico quanto difficile da portare in scena. La parabola discendente del protagonista è data non solo dallo scorrere inesorabile del tempo -reso attraverso luci rosse e maschere neutre di ombre, fumo di sigarette e l’impassibilità dell’attore davanti all’immoralità e all’orrido-, ma anche dal suono della sua voce, sempre più calda e controllata a mano a mano che il personaggio si corrompe e si accartoccia su se stesso, come svuotato.