Se l’asino è l’unico innocente



a cura di Benedetta Scillone

 

Quando incroci qualcosa di bello è praticamente impossibile non parlarne. Si è talmente abituati alla routine quotidiana fatta di sveglie e treni in ritardo, problemi al lavoro, bisticci con l’INPS e cappuccini al bar sotto casa, che quando incroci qualcosa di bello è come un lampo negli occhi, un abbaglio da miraggio nel deserto. Il bello vero ormai è così inusuale che quando lo si incontra quasi non ci si crede e si resta stupiti; ed talmente bello che si vorrebbe ripetere quello scatto fotografico nella retina all’infinito. Questo momento di gioia pura è quello che ci è accaduto sabato scorso alla prima de “Processo per l’ombra di un asino”, dell’acutissimo e subdolamente ironico Friedrich Dürrenmatt, autore elvetico, ma che in realtà dovrebbe essere annoverato tra i patrimoni dell’umanità. L’autore ambienta l’assurda rivalità tra un altolocato dentista di nome Strutione e uno squattrinato asinaro, chiamato Antrace, nell’antica cittadina greca di Abdera. Causa del conflitto è l’imprudenza del dentista, che in una cocentissima giornata di sole si ripara incautamente all’ombra dell’asino preso in affitto. Ma l’asinaro gli ha affittato l’animale, non la sua ombra e ne richiede il dovuto pagamento, vedendosi rifiutato e insultato. A turno le due parti si arrogheranno il diritto di ragione prima davanti al giudice Filippide, unico cervello pensante in tutta la storia che tenterà di metter pace fra i querelanti; poi tramite gli avvocati del foro e i testimoni-sostenitori in un crescendo di ripicche, baratti, discussioni partitiche e segreti di Pulcinella.Il tutto ammantato da una decorosa quanto insincera indignazione. Avete un déjà-vu?

Cosa c’è di meraviglioso in questo spettacolo? Beh, tutto. Se ci sono imperizie giovanili dovute all’età o all’emozione, passano decisamente in secondo piano davanti alle scene corali –tra le più difficili da rendere in teatro-, che si impongono con forza e con un tocco di magia. Il movimento sincrono dei ventotto attori è ben orchestrato: le voci suonano all’unisono senza accavallarsi in tempi discordanti; i movimenti sono resi con pochi gesti mirati: basta una curva del braccio, un’oscillazione del corpo e ti ritrovi imbarcato su una nave pirata, oppure un groviglio ribollente di braccia solletica la fantasia di una mitologica testa di Medusa. E anche noi ci ritroviamo incantati dalla magia di quei serpenti di carne, con un sorriso soddisfatto che scivola giù per gli occhi e si scioglie in una risata. Il conflitto è infatti grottesco ed è reso comicamente attraverso pantomime, accompagnamenti musicali e con l’intrecciarsi delle storie dei personaggi (conosco qualcuno che conosce qualcuno che potrebbe…), ma per i più attenti, quelli che non si accontentano mai solo di ciò che vedono, si colgono bene anche gli spunti di riflessione su due argomenti che l’autore ha sempre affrontato con passione e sviscerato in tutte le loro accezioni: la politica e la giustizia.

Una nota particolare meritano gli effetti di luce, in cui il regista Renzo Mariani non solo è maestro, ma anche virtuoso (merito delle nuove gelatine rosa?), che sottolineano, ammorbidiscono o isolano sommessi monologhi, dibattiti politici e canzoni marinaresche. Nel gran caos greco, infatti, ognuno può ritrovare se stesso e le proprie idee sulla vita. Ognuno parteggia per la propria visione del mondo e plasma giustizia ed eloquenza a servizio di ideali personali, giusti o meno giusti che siano. Tra il dentista e l’asinaro preferiamo non prender partito, lasciando allo spettatore il divertimento di cogliere pregi e difetti di queste due comicamente tristi figure. Ma come Dürrenmatt, nemmeno noi siamo troppo convinti che l’asino della storia, sia l’asino vero della morale.