La Recensione: “Il fantasma di Canterville”



a cura di Francesca Perissinotto

 

Il connubio Wilde – Teatroindirigibile si conferma vincente. Forse ispirati dal clima favorevole, buio e tempestoso come quello evocato dal protagonista, i registi Benedetta Scillone e Giacomo Cattaneo superano le ultime difficoltà delle prove e portano sulla scena la loro visione de “Il fantasma di Canterville”.

L’autore inglese ripercorre la storia della famiglia americana degli Otis, neo-proprietaria del famigerato castello di Canterville e dello spettro annesso. “Proprietaria”, appunto, perché sin dal principio il fantasma di Sir Simon Canterville è considerato alla stregua di un divertente complemento d’arredo, una caratteristica essenziale della tenuta, immancabile nella vecchia madre patria europea. Tutto si può immaginare lo spietato, efferato, tricentenario fantasma di Sir Simon Canterville, fuorché di essere preso a cuscinate notturne dai due perfidi gemelli Otis. Protagonista è, in effetti, proprio lo spettro, che dovrà combattere con la sua stessa immagine e imparare a convivere con la modernità. Sua unica via di fuga è Virginia Otis, la giovane Miss della casa nonché l’unica a rendersi conto della profondità dello sconforto del disgraziato Sir. Grazie a lei ed alla sua innocenza, tutta la famiglia (fantasma annesso) riuscirà ad emergere dallo stato di superficialità in cui si era rifugiata e “la pace tornerà su Canterville”.

Il conflitto tra storia e modernità è asse portante della storia quanto della messa in scena. L’ambientazione tipicamente gotica viene infatti trasposta a realtà grazie alla mano di Federico Santagati, autore di una serie di vignette fumettistiche che declinano i fatti nell’ulteriore dimensione dell’immagine visiva. Proiettati sulle pareti della scena, i disegni accompagnano le parole degli attori proponendo una sorta di “racconto del racconto” che colpisce la fantasia del pubblico. Le tavole sono, del resto, tramite attraverso cui i registi propongono un secondo elemento didascalico a questo conflitto: le pareti del castello e le rievocazioni del passato si delineano nei colori del bianco e del nero, mentre la modernità si colora delle più improbabili sfumature. Un esempio per tutti, la completa Enciclopedia Pinkerton rosa pastello, che prende il posto degli antichi libri rivenduti dal rampollo Otis. Elemento di congiunzione, nonché unico indizio di una situazione di vicinanza tra il fantasma e la famiglia, è il colore rosso che dipinge alcuni dettagli dell’ambientazione nel secondo atto: nonostante la descrizione della macchia di sangue, lasciata ogni notte dal fantasma e prontamente cancellata dallo smacchiatore Pinkerton, nei colori del verde acqua, del celeste, del verde smeraldo, i due registi scelgono di rappresentarla nel solo colore rosso, a suggerire appunto l’intimo legame dei soggetti.

La trama della regia è arricchita dal ricamo della performance di Stefano Livio, qui nelle vesti dello spettro. Già celebrato nella sua interpretazione dell’Ernesto wildeiano, rivela in questa occasione una profondità insospettata per la nobiltà del personaggio. La modulazione della voce, la mimica e la presenza scenica riescono infatti a trasmettere tutto il sentimento della nuda decadenza di una personalità che faceva della teatralità le sue arma e difesa: così come il fantasma è costretto dalle circostanze a svestirsi dell’effige teatrale, così la recitazione di Livio si spoglia, gradualmente, degli orpelli declamatori dell’aristocrazia e rivela la concretezza di un’emozione reale. Reale, del resto, è il talento di questa compagnia, che dimostra capacità e passione anche nelle nuove generazioni. Non resta che aspettare il prossimo spettacolo.