La Recensione: “L’innesto”



a cura di Anna Castoldi

 

Si apre all’insegna pirandelliana la stagione di Teatroindirigibile, con la scelta coraggiosa di Edoardo Nodi Battaglion e i suoi Amici della prosa: in scena è L’Innesto. Spettacolo tra i meno conosciuti di Pirandello, fu rappresentato pochissime volte e fischiato altrettante. Comprensibile che il pubblico si mostri insofferente a un testo denso e povero di azione; ma il teatro, qualche volta, abbandona i lazzi di Arlecchino per farsi sfida e conflitto.

L'articolo di ComoLive.it
L’articolo di ComoLive.it

Può un uomo accettare come suo il figlio concepito dalla moglie in seguito a uno stupro? Si dibattono in questo dilemma Laura e Giorgio, i protagonisti interpretati da Licia Guastelluccia e Dario Lilloni. La recitazione carica di sentimento, di intensità quasi esasperante, mette a nudo le tensioni irrisolte dei personaggi; i loro mutevoli stati d’animo campeggiano su un pannello nero affacciato sulla scena, coperto di maschere con varie espressioni. Una di esse è spaccata in due, simbolo pirandelliano della verità che penetra sotto una maschera ormai rotta. Ogni parola è pronunciata lentamente, scandita con impeccabile dizione, perché lo spettatore non ne perda neanche una; lunghe pause fanno sì che ciascuna cada con sonorità in fondo all’anima; la divisione in tre atti con brevi intervalli permette qualche minuto di riflessione, per digerire il testo poco a poco. Per orientarci nella difficoltà dell’opera, all’inizio del terzo atto un’attrice (Tina Fanelli) sale alla ribalta e, con straniamento quasi brechtiano, ci illustra il contesto della prima messa in scena, il suo valore dopo la guerra: allora molte gravidanze venivano dalla violenza dei soldati nemici.

Ma questa gravidanza non verrà proprio da Giorgio? Laura chiede lumi alla contadina Zena, interpretata da un’ottima e convincente Noemi Bigarella, che anni or sono si invaghì, pur fidanzata, di Giorgio, con logiche conseguenze. Sicuro, ripete, da lui non ebbe alcun figlio, conferma al timore di Laura: suo marito è sterile. Eppure, se il seme altrui ha attecchito nel suo grembo è perché, nel riceverlo, Laura a Giorgio ha pensato, non ad altri: una toccante fiducia nella forza del puro sentimento di influenzare i processi fisiologici. Se Giorgio amerà altrettanto la moglie, il frutto di questo innesto diventerà suo; se non abbraccia questa apparente follia, Laura è pronta a lasciarlo. Diversamente da Pirandello, che aveva optato per una riconciliazione in extremis, Nodi Battaglion fa uscire la sua Laura dalle quinte, mentre le luci si abbassano sul salotto dove Giorgio resta solo.

Si alzano le luci in sala, lo spettacolo è finito: anche noi possiamo restare seduti a tormentarci sulla piccola violenza cui ogni testo arduo sottopone lo spettatore. Oppure possiamo abbracciare L’Innesto per ciò che è: teatro, arte e, soprattutto, amore. Perché se è vero che la pianta non dà frutto se non quando è in amore, così noi non caveremo niente dalla serata se trascuriamo di amare quella fonte inesauribile di arte che è il teatro. “Ci vuole l’arte, ci vuole” ripete il giardiniere Filippo innestando le piante, adombrando l’identità tra arte e amore. Forse questo Pirandello voleva suggerire. Quando lo capiremo, Giorgio potrà alzarsi e fermare Laura dicendo: lo voglio, ti amo.