La Recensione: “I pettegolezzi delle donne”, di Carlo Goldoni



a cura di Benedetta Scillone

 

Quando il pettegolezzo é di scena

Nel corso di quasi trent’anni non avremmo mai pensato di dover affrontare il dialetto veneziano, ma immaginiamo che nemmeno i ragazzi andati in scena sabato sera con l’opera di Goldoni se lo siano mai sognato: utilizzare nel 2016 il veneziano del Settecento, in piena terra comasca.

Facile, no?

Oltrepassato lo scoglio linguistico -e doppiato più volte a suon di risate- si viene circondati dalle luci e dai paesaggi scenografici della laguna: case, piazze, lampioni, lampadari, tutti tratteggiati e rimpolpati di ombre e sfumature dalle mani di Lorenzo C., Davide T., Lorenzo P. e Alessio M..

La commedia si svolge nella città lacustre, dove abita Checchina (Agnese P.), figlia di  Paron ‘Ntoni (Lorenzo P.) e promessa sposa di Beppo (Davide T.), giovane fattore e pupillo di Pantalone (Alessio M.).

A far da coro ai due amanti un nugolo di nobili, servitori, sarte, venditori e comari, tutti capeggiati dalle due pettegole più incallite di tutta Venezia: donna Sgualda e donna Catte, interpretate energicamente da Amira E. e Lidia S..

Per vie traverse le due donne insinuano il dubbio che Checchina non sia figlia naturale di Paron ‘Ntoni, ma di un venditore armeno di abagiggi (Matteo F.), compromettendone così il matrimonio.

Di bocca in bocca, da orecchio a orecchio la storia si snoda tra fraintendimenti e colpi di scena, battute ben assestate e particolari esilaranti.

Oltre alle due comari si fanno ben notare Giulia U. nei panni della nobildonna Eleonora e Alessandro S., l’innamorato Lelio, la cui interpretazione scatena le risate e la simpatia senza riserve del pubblico: un parrucchino francese bianco e imbalsamato, sostenuto da una candida ingenuità e semplicità intellettuale, che Alessandro rende bene nei movimenti e nei gesti esagerati da mannequin.

Un gruppo caldo, colorato di ragazzi fra i sedici e i diciassette anni, che dopo un anno di lavoro e tante remore adolescenziali provano a sciogliersi sul palco, imparando lingue e sentimenti distanti  (ma forse neanche troppo) dal loro quotidiano.

Colori nei vestiti, nei caratteri, recitazione messa a dura prova spesso dall’uso delle maschere, che costringono i giovani attori a concentrarsi sul resto del corpo, a imparare a usarne l’espressività, a modulare la voce.

Particolarmente apprezzata é la musica settecentesca di una spinetta, suonata dal vivo da Eleonora G., che accompagna i numerosi cambi scena e i momenti più intimi dei personaggi.

Renzo Mariani ancora una volta punta sui giovani, giovanissimi, e li fa lavorare, cambiare, sperimentare, azzardare, sulla propria pelle e sulle proprie gambe, unendo l’energia dei ragazzi alla loro vena artistica e recitativa, ben in mostra nelle scenografie e nell’ancora acerba (e per questo più preziosa) mimica attoriale.

N.d.A. Scommettiamo che cercherete subito di scoprire cosa sono gli abagiggi. A teatro li mangiamo.