La Recensione: “Rumors”



a cura di Giorgio Agosta del Forte

 

Le note di “All I Have To Do Is Dream” dei Everly Brothers, echeggiano nella sala colma di spettatori, ma subito viene interrotta da uno sparo.

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Le luci illuminano il palco e Chris Gorman (Anna Orsenigo) assieme a suo marito, l’abile avvocato Ken Gorman (Yuri Maritan) appaiono da subito nervosi, agitati alimentando quella fiamma di mistero e curiosità che si era appena accesa nei cuori del pubblico. In tale maniera si schiude “Rumors”, pièce partorita dal genio di Neil Simon e diretta, per Teatroindirigibile, da Benedetta Scillone. Lo spettatore é accolto nelle vicissitudini da un sobrio appartamento, allestito sulla scena in maniera Pop, essenziale.

Nel gocciolare dell’esistenza non capita spesso di andare ad una festa e non trovare i padroni di casa, ma ciò é proprio quello che accade a Ken e Chris Gorman, giunti nei quartieri alti di New York per festeggiare il decimo anniversario di matrimonio dei loro cari amici. Giustamente e ragionevolmente si chiedono dove siano i padroni di casa, il perché dello sparo, come mai non ci sia da mangiare e dove sia sparita la servitù. Solo uno, dei molteplici misteri viene svelato: il padrone di casa si é sparato al lobo dell’orecchio, ma tutto sommato sta bene.

Ora, l’imperativo della prima coppia, é celare il misfatto al fine di non creare scandali e salvaguardare la propria reputazione. Ma una festa con solo due invitati e un mezzo ferito é una festa sobria, scarna, mesta e così si aggiungono il commercialista Leonard Ganz (Matteo Gugliotta) e il suo amore Claire Ganz (Chiara Ardino), lo psichiatra Ernie Cusack (Andrea Turla) con la svampita Cocca Cusack (Elena Orsenigo) e, infine l’aspirante senatore Gleen Cooper (Mattia Cattaneo) alle prese con i malumori matrimoniali dell’affascinante Cassie Cooper (Martina Ronchetti).

C’é un vecchio detto: “se vuoi dire una bugia, non contraddirti mai, anche innanzi all’evidenza”. Questo é quello che non succede all’avvocato e a sua moglie e così, anche le altre coppie vengono a conoscenza del tragico episodio. In questo momento di crisi, la rampante borghesia deve ingegnarsi e trovare una soluzione e risposte plausibili soprattutto nel caso in cui qualcuno, per esempio la polizia, facesse delle domande. In queste situazioni, la Legge di Murphy (se deve accadere una cosa spiacevole, sicuramente accadrà), non é mai amica e così il campanello suona, la porta si apre e due poliziotti: Sam Pudney (Matteo Faotto) e Ben Welch (Francesco Camagna) irrompono la scena, affamati di risposte.

Un arabesco palazzo di inganni e tranelli, non convinceranno i due tutori della legge ma, parafrasando le parole di Ben Welch: “Ci credo. Ci credo perché mi sono piaciuti”; parole al sapore di balsamo per le preoccupazioni e tensioni delle quattro coppie. Quando ormai il lieto fine sembra accoglierli, una voce irrompe nella tranquillità appena giunta: da dove viene? Chi é? Ma ormai le luci si sono spente e una coperta di applausi investe gli attori. Charlie Chaplin, diceva che la comicità nasce da una situazione surreale ma l’individuo coinvolto continua nel suo comportamento ordinario. Per esempio, un uomo ferito e morente si preoccupa di sistemarsi la cravatta e i capelli.

Questa atmosfera paradossale é stata perfettamente incarnata da Yuri Maritan, attraverso una recitazione effervescente, tesa in uno slancio vitale di pura energia insieme all’esplosiva e travolgente Anna Orsenigo. Eccezionale l’interpretazione di Matteo Gugliotta che si diverte e fa divertire, facendo ridere il pubblico di pancia, di cuore. La sua compagna, Chiara Ardino si muove sul palco con eleganza e raffinatezza. Incredibile é l’esordio di Martina Ronchetti, puro talento, briosa e sensuale: é sicuramente nata per recitare. Elena Orsenigo é fantastica, un vezzoso raggio di luna che illumina il suo personaggio infantile. Infine la prova di Andrea Turla, Mattia Cattaneo, Matteo Faotto e Francesco Camagna sono robuste e sicure.

Evidente é il superbo lavoro della regista, Benedetta Scillone, nel dare un’orma alle anime dei personaggi caratterizzandoli in modo equivoco e legandoli attraverso una monocromia dei costumi abbinati nelle rispettive coppie, senhal sinestetico del pettegolezzo. Questo carillon di rapide battute, arzigogolati equivoci e raggiera di incomprensioni sottendono una critica a quella borghesia, etichettata da Virginia Wolf, come “social climber” i quali sono mossi da dicerie, voci di corridoio e apparenze legate a un superficiale materialismo.